Come aumentare la produzione oraria di pizze con una macchina stendipizza


Un ristorante-pizzeria di tipo turistico, posto ad esempio sulla Riviera Romagnola, generalmente lavora sotto un’enorme pressione durante la stagione estiva. Nelle sere di agosto in particolare deve far fronte a molteplici e continue richieste che iniziano alle 18, seguendo gli orari cui sono abituati mangiare molti dei turisti stranieri che affollano la Romagna, per finire di cucinare (e sfornare pizze) intorno alle 22 se non addirittura alle 23 (con la gente che finisce alle 21 l’aperitivo e decide di spostarsi per cenare).

Senza per forza concentrare il pensiero su una determinata zona a vocazione turistica o su un periodo di particolare afflusso, possiamo tranquillamente generalizzare la problematica affermando che ogni pizzeria (ristorante o al taglio) si ritrova nel corso dell’attività a dover fronteggiare un quantitativo di ordini capaci di mettere a dura prova l’intera gestione. Può essere ferragosto, un sabato sera o l’arrivo in sincrono di due squadre di rugby affamate dopo una partita, la pizza dovrà comunque uscire buona e in maniera rapida per non scontentare il cliente.

Occorre quindi essere preparati e aver approntato un sistema organizzativo di prim’ordine per il proprio locale, capace di accelerare la produzione all’occorrenza senza perdere in qualità nella resa finale. Occorre una strategia che coinvolga ogni elemento operativo, dal pizzaiolo al forno, dalla preparazione degli ingredienti alla presa in carico degli ordini con annessa trasmissione alla cucina, dagli utensili ai macchinari.

Ogni pizzeria ha il proprio metodo, attrezzature differenti, uno o più pizzaioli (con tecniche diverse di elaborazione e stesura dell’impasto), il forno elettrico, a gas o a legna. Tutte però sono accomunate da un comune obiettivo: aumentare la produzione oraria di pizze. Una qualità indispensabile perché soddisfa anzitutto la clientela, anche in periodi di bassa affluenza, la quale successivamente potrebbe promuovere l’attività sui social o la recensirà offrendo una buona immagine al servizio. Una qualità che solo una macchina stendipizza può migliorare in maniera sostanziale.

Come aumentare la produzione oraria di pizze, ovvero l’arte della velocità

Incrementare la produttività in un qualsiasi contesto industriale o commerciale è una delle soluzioni più ovvie per aumentare il fatturato e quindi, possibilmente, anche i guadagni (tenendo dunque dei margini adeguati). Certamente ci deve essere una domanda del prodotto cui rispondere senza sovrastimarne la portata, altrimenti le spese diventano eccessive, e la qualità non dovrebbe mai essere messa da parte dando troppo valore alla rapidità del servizio.

Chi entra in una pizzeria pretende di spendere poco o quanto meno il giusto, di poter ordinare in maniera quasi immediata e di vedersi “recapitare” una buona pizza in tempi rapidi (magari prima di finire i classici grissini messi a centro tavola). In maniera inferiore si aspetta che il locale sia curato, pulito, che il personale sia cortese, che birra o vino siano di qualità. Tutti questi fattori però, nella sensazione di soddisfazione finale del cliente, non valgono quanto la velocità del servizio: è quasi sempre la prima cosa di cui si lamenta. Il locale potrebbe offrire la più diversificata offerta di pizze della regione, l’impasto più leggero e soffice, un pizzaiolo a 3 stelle o la birra artigianale più raffinata del mondo, ma se il cibo arriva a tavola dopo mezz’ora tutto questo sarà inutile.

Aumentare la produzione oraria di pizze diventa dunque un aspetto primario nella gestione di un locale con forno per pizza, soprattutto se fatica a gestire una intensa affluenza di “pubblico” affamato, difficile da affrontare senza la giusta preparazione e organizzazione. Preparazione e organizzazione sono proprio le parole chiave per un servizio rapido e di qualità in cui entrano diversi elementi protagonisti di questa ottimizzazione:

  • Il pizzaiolo (o i pizzaioli), con la sua manualità e la gestione del piano di lavoro
  • Baristi, camerieri e commis di sala, fondamentali nel rapporto diretto col cliente
  • Un piano di lavoro organizzato perfettamente (e in grado di prevedere situazioni critiche)
  • Forno e macchinari come la stendipizza in ausilio alle persone che lavorano per la pizzeria

Efficienza, velocità e qualità sono le uniche cose che permettono a una pizzeria di andare avanti per generazioni. Una pizza bruciata può essere rimandata indietro, il cameriere maleducato redarguito dal gestore, ma il tempo perso per il servizio non si recupera più. Ecco perchè persone e attrezzature dovrebbero essere votate alla rapidità, soprattutto le seconde: semplificano il lavoro manuale e lo svolgono in meno tempo. Un esempio su tutti la macchina stendipizza.

Il fattore umano: quanta differenza fanno l’abilità e l’esperienza del pizzaiolo?

Non è certamente l’elemento più rilevante per aumentare la produzione oraria di pizze, ma è anche vero che senza il pizzaiolo non arriva proprio nulla ai clienti (a meno di non scongelare qualcosa, ma non vorremmo far rivoltare nella tomba qualche defunto cuoco). Ciò che nella figura umana può fare la differenza è certamente la sua preparazione professionale: conoscenza degli impasti e loro lavorazione (e lievitazione), dei tempi di cottura e degli ingredienti, utilizzo sapiente degli strumenti e dei macchinari a disposizione, dall’impastatrice alla stendipizza, fino ovviamente al forno.

Un professionista può improntare il proprio lavoro per accelerare l’uscita finale del prodotto, ma il fisico umano ha i suoi limiti e la resa qualitativa è altrettanto importante, non vale la pena preparare pizze mediocri sull’altare della velocità: il cliente sarà soddisfatto delle tempistiche, ma non del gusto.

In poche parole il pizzaiolo può ottimizzare velocità ed efficienza, ma per aumentare davvero la produzione ci vuole altro, un aiuto più tecnico.

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Tra locale e operatori, l’importanza del locale ben gestito

Senza dover scomodare la filosofia ideale dell’ordine di Marie Kondo, possiamo considerare ovvio (ma non scontato) che un ristorante/pizzeria ordinato e pensato per facilitare il lavoro di cuochi, pizzaiolo, camerieri e commis offra un’impostazione basilare utile a garantire servizi rapidi ed efficienti.

La postazione del pizzaiolo in questo ha un’importanza notevole: è necessario disporre le cose in maniera tale da facilitare la preparazione e la cottura. Essere sempre coscienti di dove si trovano gli impasti pronti alla stesa, le pale e gli altri utensili, gli ingredienti aiuta ad aumentare la produzione oraria di pizze senza generare stress eccessivo nei lavoratori, anche nei momenti di grande afflusso. Per rendere più rapida la preparazione ci sono poi diversi “stratagemmi” organizzativi, facciamo qualche esempio:

  • Suddividere il banco in due parti, una dedicata alla preparazione e l’altra all’ultimazione del prodotto appena sfornato (ultimi ingredienti, ecc).
  • Disposizione senza ingombro delle scatole per le pizze da asporto.
  • Scegliere strumentazione e utensili in base alla loro praticità.

A livello di gestione complessiva del locale, personale compreso, non ci sono ricette particolari per migliorare in velocità il servizio di consegna. Basta semplicemente instaurare un clima sereno e ordinato in cui tutti hanno il proprio compito da svolgere e in cui menù e gestione delle comande sono in grado di facilitare tutto il lavoro dall’ordine alla cottura.

Stendipizza e forno: aumentare la produzione è un fatto prettamente tecnico

Definiti i fattori umano e organizzativo, veniamo a parlare di ciò che davvero risulta essere più decisivo quando si vuole aumentare la produzione oraria di pizze: il supporto tecnico offerto dalla macchina stendipizza e dal forno.

Sono diverse le tecniche per preparare e stendere una pizza. I puristi non abbandoneranno mai quella a mano, ma possiamo trovare anche chi lo fa a mattarello e chi invece sfrutta la comodità di una stendipizza professionale. Non c’è un metodo giusto o sbagliato, ci sono preferenze “operative” e vantaggi che solo alcune possono offrire rispetto alle altre.

  • Stendere a mano è il metodo classico per eccellenza: si prendono i singoli panetti e si utilizzano polpastrelli e palmi per allargare l’impasto e lasciare il cornicione.
  • Il mattarello semplifica l’operazione ma è più faticoso: ne risulta una pizza generalmente più sottile.
  • La macchina stendipizza infine rappresenta lo strumento professionale per antonomasia: non è considerata da molti pizzaioli più tradizionali ma la verità è che consente un notevole risparmio di tempo e fatica, fornendo un aiuto fondamentale quando si tratta di velocizzare la produzione.

Viste ed esaminate le possibilità è chiaro che disporre di una stendipizza nella propria pizzeria porti un vantaggio effettivo in termini di tempo che tutti gli altri metodi non hanno. Se si desidera aumentare la produzione oraria di pizze questa è certamente la soluzione più efficace e duratura, valida nei momenti di grande afflusso come in quelli più “scarsi”.

Anche il forno infine può rappresentare un aiuto non indifferente alla lavorazione rapida della pizza. Non tanto nei tempi di cottura, che non cambiano quasi per nulla (a meno di ottenere bruciature o di lasciare parti crude, risultati che ovviamente sconsigliamo), quanto piuttosto nella praticità che possono offrire. In tal senso avvalersi di modelli elettrici o a gas vuol dire godere di un notevole vantaggio rispetto ai modelli a legna, in quanto viene completamente tralasciata la gestione della legna e del fuoco: spesso una perdita di tempo decisiva quando il locale è pieno. Inoltre consentono di regolare con maggior precisione la temperatura della camera (l’elettrico meglio del gas), personalizzando la cottura e rendendola davvero più semplice.

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Creare l’impasto perfetto: 4 segreti per l’utilizzo di un’impastatrice per pizza


Lontano dalla vecchia visione tradizionale del pizzaiolo capace di elaborare ogni passaggio del processo di produzione della pizza unicamente con le proprie mani, la propria tecnica e la propria conoscenza, i ristoranti e le piccole pizzerie da asporto (o al taglio) ora operano sfruttando strumenti pensati per ottimizzare il loro lavoro.

Impasto, lievitazione, stesura, conservazione degli ingredienti, cottura: per ognuno di questi processi esiste un macchinario ad hoc. L’impastatrice per pizza nello specifico aiuta la formazione ideale della maglia glutinica, necessaria per ottenere un prodotto gustoso, leggero da digerire (in collaborazione con la lievitazione) e facile da maneggiare.

A livello professionale stiamo parlando di macchinari fondamentali per un esercizio commerciale, disponibili in 3 diversi tipi, ovvero tuffante, a spirale e a forcella (la planetaria è generalmente adatta al mercato domestico), ognuno con i suoi specifici vantaggi e caratteristiche tecniche, capaci di conferire risultati differenti. In base al tipo di braccio, alla capienza della vasca e alla mole di impasto da lavorare cambia infatti la variazione termica che quest’ultimo può generare, cambiano i tempi, le velocità e cambia la temperatura dell’acqua da aggiungere.

Queste differenze che sussistono fra le tipologie di impastatrici risultano fondamentali nella resa finale del prodotto pizza e possono determinare in maniera decisiva la qualità dello stesso, la sua consistenza e sofficità. Le medesime differenze citate ci permettono inoltre di enunciare 4 criticità di importanza strategica per l’utilizzo delle impastatrici.

Le tipologie di impastatrici: conoscerle per capire come cambia la lavorazione

L’impastatrice per pizza aiuta a velocizzare la preparazione dell’impasto, permettendo di risparmiare tempo e forze al pizzaiolo, anche lavorando su volumi importanti. Come specificato sopra, sono tre le tipologie di macchinari che vengono utilizzate prevalentemente nelle pizzerie (ma anche forni e pasticcerie) e che in base al tipo di braccio possono cambiare in modo anche rilevante il risultato finale. Da un certo punto di vista non c’è un macchinario nettamente migliore di altri, la scelta si basa in prevalenza sulla preferenza lavorativa del pizzaiolo e sul tipo di risultato che si desidera ottenere.

Importanza della temperatura dell’impasto

Osservando e catalogando le caratteristiche che l’impastatrice per pizza possiede in base al tipo di braccio operativo di cui è dotata, viene naturale chiedersi cosa cambia nel risultato finale la temperatura della pasta in fase di lavorazione e come reagisce all’innalzamento o alla perdita di temperatura.

L’impasto infatti ottiene i risultati migliori quando riesce a mantenersi intorno ai 24° gradi. A prescindere dagli ingredienti utilizzati, ciò che dunque permette di regolare e ottimizzare la temperatura dello stesso è l’acqua, che va immessa nel composto pensando al tipo di impastatrice utilizzata e a quanti gradi quest’ultima “cede” in fase di lavorazione. L’acqua perciò dovrà essere più o meno calda in base a quanti gradi il macchinario rilascia all’impasto.

  • Impastatrice a spirale: 18°
  • Impastatrice tuffante: 9°
  • Impastatrice a forcella: 3°

Impastatrice a forcella: vantaggi e caratteristiche

Questa impastatrice è caratterizzata dal braccio lavorante a forma di forcella (nomen omen) che opera inclinato rispetto all’asse di rotazione della vasca. Nel confronto con gli altri due modelli offre una lavorazione più lenta che quindi richiede dunque più tempo, ma proprio per questo motivo è in grado di veicolare meno calore all’impasto (che in tal modo offre una migliore tenuta) e di manipolarlo più a lungo. Le sue caratteristiche la rendono ideale per tutti gli impasti con una percentuale di acqua poco elevata (in sostanza i più asciutti).

  • Cede all’impasto dai 3 ai 6 gradi in base al moto e alla velocità impressi
  • Perfetta per impastare composti con acqua sotto al 50%
  • La sua lentezza causa inevitabilmente bassi livelli di produttività
  • L’impasto risulta meno ossigenato e quindi poco voluminoso

Impastatrice a spirale: vantaggi e caratteristiche

L’impastatrice per pizza a spirale è invece la più veloce dei tre macchinari. La spirale in acciaio ruota sull’asse verticale, mentre la vasca è in grado di ruotare in senso orario e antiorario. Dimensioni e lunghezza della spirale possono modificare il risultato finale. La sua rapidità permette di ridurre in maniera decisiva i tempi produttivi e risulta essere ideale le lavorazioni lunghe (impasti molli e non solo), anche se genera molto calore (per il quale va tenuto bene in conto la temperatura dell’acqua da inserire). Generalmente propone due velocità di esecuzione, la prima per amalgamare, la secondo per la formazione del composto.

  • Lavorazione rapida e tempi ridotti
  • Offre impasti ben omogeneizzati e soffici, di ottima qualità
  • Genera innalzamento della temperatura da tenere sotto controllo

Impastatrice a braccia tuffanti: vantaggi e caratteristiche

Il modello a braccia tuffanti è chiamato così perchè simula il movimento delle braccia umane nell’atto di impastare. L’organo lavorativo è infatti composto da due elementi, la spatola e la forcola, che ruotano in senso contrario e alla medesima velocità. Più veloce dell’impastatrice a forcella, ma più lenta di quella a spirale, offre un riscaldamento più contenuto della seconda e garantisce un’eccellente ossigenazione per via del movimento dall’alto verso il basso che coinvolge l’impasto quando viene preso dalle “braccia”. Per le sue caratteristiche risulta essere perfetta per i grandi volumi, per i composti più delicati (soprattutto in pasticceria) e per quelli molto idratati.

  • Elevata ossigenazione
  • Stimola molto bene la lievitazione
  • Ideale per lavorare impasti voluminosi
  • Non eccelle per produttività

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Importanza della temperatura dell’impasto

Osservando e catalogando le caratteristiche che l’impastatrice per pizza possiede in base al tipo di braccio operativo di cui è dotata, viene naturale chiedersi cosa cambia nel risultato finale la temperatura della pasta in fase di lavorazione e come reagisce all’innalzamento o alla perdita di temperatura.

L’impasto infatti ottiene i risultati migliori quando riesce a mantenersi intorno ai 24° gradi. A prescindere dagli ingredienti utilizzati, ciò che dunque permette di regolare e ottimizzare la temperatura dello stesso è l’acqua, che va immessa nel composto pensando al tipo di impastatrice utilizzata e a quanti gradi quest’ultima “cede” in fase di lavorazione. L’acqua perciò dovrà essere più o meno calda in base a quanti gradi il macchinario rilascia all’impasto.

  • Impastatrice a spirale: 18°
  • Impastatrice tuffante: 9°
  • Impastatrice a forcella: 3°

Quanto conta la velocità in un’impastatrice per pizza?

In molti casi “imprenditoriali”, in particolar modo a livello industriale, le aziende vivono e progrediscono puntando soprattutto sulla velocità di produzione o di servizio. La medesima cosa si può riflettere in parte nel mondo della pizza: essere in grado di preparare importanti quantità di impasto in tempi più ristretti può essere decisivo in determinati contesti, aiutando a risparmiare tempo e forza lavoro.

Però la velocità non è tutto per un ristorante, quanto meno nella preparazione degli impasti delle pizze, un lavoro che viene praticato ben prima del servizio e che non dipende dunque alla pressione del cliente affamato (come invece accade per la stesa e la cottura a seguito dell’ordine). C’è anzitutto un discorso qualitativo da prendere in considerazione e di sviluppo del prodotto: il risultato offerto dalla spirale è differente dalla forcella o dalle braccia tuffanti, e viceversa. Inoltre queste impastatrici offrono il meglio per determinati prodotti e impasti, motivo per cui la scelta per la migliore delle opzioni ricade sempre sul pizzaiolo e sulla sua personale ricetta per la pizza.

La velocità dell’impastatrice conta a sufficienza dunque, ma solo a livello individuale perchè deve riflettere l’esigenza qualitativa di chi prepara la pizza.

Vasca alta o vasca bassa? C’entra ancora la temperatura

[/vc_column_text][vc_column_text]Visto e compreso come la velocità, la temperatura e il tipo di braccio operativo cambino in modo sostanziale la resa finale di un impasto, resta da capire in che modo e quanto può fare la differenza la vasca. La sua altezza infatti diventa un ulteriore criterio da tenere in conto quando si fanno i calcoli relativi alla temperatura dell’impasto.

Se la stessa risulta essere bassa e larga, la temperatura tenderà a rimanere più stabile, in caso di vasca alta e stretta invece il rischio è un innalzamento eccessivo (che può però essere compensato da una mole di impasto inferiore).

Come per la tipologia stessa di impastatrice per pizza, anche in questo caso la scelta meramente operativa dipende da come è abituato a lavorare il pizzaiolo e dalle sue preferenze in fatto di impasti. L’equilibrio in fondo si gioca su tante cose: farine, acqua, sale, velocità, tempo, tipologia di utensile e temperatura.

I trucchi per capire quando la maglia glutinica si è formata correttamente

Abbiamo enucleato ogni caratteristica utile delle diverse tipologie di impastatrici e gli aspetti di cui tenere conto in fase di lavorazione, ma in fin dei conti come deve essere un impasto perfetto? Tutto si gioca nelle proteine della farina, la gliadina e la glutenina: la prima conferisce estensibilità, la seconda tenacità. Unite all’acqua e messe in movimento dall’impastatrice per la pizza sono in grado di formare una sorta di reticolo elastico, il glutine, che in fase di lievitazione aiuta a trattenere i gas prodotti dal lievito, mentre al momento della cottura ne favorisce la fuoriuscita.

Per arrivare a questo risultato ideale basta osservare e notare i vari processi fisici e meccanici che permettono di comprendere quando la maglia glutinica è pienamente formata (ovvero la farina ha assorbito ogni altro ingrediente) e l’impasto risulta essere infine pronto.

  • L’impasto inizia a legarsi e avvolgersi al braccio generando degli scoppiettii derivanti dalla maggiore compressione dei gas
  • L’impasto si presenta più chiaro e lucido da un punto di vista visivo, mentre al tatto soffice e liscio
  • Attenzione: i tempi di lavorazione dipendono per lo più dalla quantità di acqua presente (oltre che dalla velocità dell’impastatrice) e quando vengono superati la maglia glutinica inizia a sfibrarsi
  • In base alla temperatura dell’acqua la maglia si forma prima (se elevata) o più tardi (se fredda)

Se al termine del processo, dopo un breve riposo, l’impasto viene tirato con movimenti ondulatori e risulta essere ancora estensibile, allora il risultato è pressoché perfetto

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Tutto ciò che dovresti sapere per aprire una pasticceria di successo


Il mondo della ristorazione, quello della pasticceria, lo street food e tutto ciò che concerne la cucina (italiana e internazionale) sta vivendo da diversi anni un periodo che potremmo definire “mediaticamente sovraesposto”, in cui fioriscono continuamente programmi televisivi, blog, podcast e video in cui la preparazione del cibo la fa da padrone. Accanto ai più noti format televisivi come Masterchef, Hell’s Kitchen (nati sotto la figura di Gordon Ramsey), vengono trasmessi decine di altri programmi che spaziano l’intero scibile alimentare.

Il mondo della pasticceria non rimane indietro in questa visibilità televisiva e web, mostrando da una parte l’impegno verso l’eccellenza di giovani pasticceri come la maestria di nomi altisonanti del settore (basta citare in tal senso Iginio Massari), dall’altra la crescita formativa di gente comune che vuole crescere dal punto di vista tecnico. In quest’ultima categoria figurano anche coloro che desiderano aprire un laboratorio e rinnegano il loro percorso di studio e lavorativo portato avanti finora, cercando di cambiare vita e di seguire la passione per i dolci.

Aprire una pasticceria non è semplice e richiede di avere cura di molteplici aspetti, da quelli più strutturali, inerenti il locale e le attrezzature, a quelli burocratici (i più insidiosi), senza dimenticare la tecnica e la bravura: inaugurare una pasticceria essendo in grado di fare solo dei frollini al forno non è propria l’idea più brillante del mondo. Alla passione va sempre coniugata una sana dose di realismo e la formazione tecnica, soprattutto in un paese come il nostro ricco di tradizione culinaria e di gusti raffinati in fatto di cibo in generale.

Avventurarsi nel settore dolciario con questo obiettivo non significa semplicemente praticare un hobby o dare pratica a un sogno coltivato da anni, per quello bastano le mura domestiche entro le quali dilettarsi per amici e famigliari. Aprire una pasticceria vuol dire avviare un’impresa, un’attività commerciale votata alla vendita in cui non sono permessi tanti salti nel vuoto, pena il fallimento e la conseguente perdita del sogno.

Le problematiche da affrontare quando si vuole aprire una pasticceria

Che sia nel centro storico di Milano o di un piccolo paese di provincia, inaugurare e gestire un laboratorio dolciario con annessa vendita dei prodotti implica adeguarsi a una serie di esigenze tecniche e burocratiche necessarie. Ma unitamente agli obblighi di legge, ci sarebbe anche una parte formativa personale da seguire, servirebbe un budget adeguato e il desiderio di impegnarsi a fondo sulla qualità e sulla comunicazione. Come abbiamo specificato sopra, avviare un’impresa è un fatto decisamente serio perché implica numerosi passaggi e un notevole investimento di denaro.

  • Se non si ha seguito in vita un percorso scolastico come quello alberghiero o delle scuole specifiche (sempre che non si decida di assumere il pasticcere), occorre formarsi presso le diverse accademie e scuole: non solo per una questione di tecnica, ma aiuterebbe a dare maggior valore alla qualità dei propri prodotti.
  • Investigare sul territorio scelto e individuare quale tipo di pasticceria potrebbe avere maggiore successo (classica, americana, senza glutine, ecc..) perché priva di eventuale concorrenza o lontana da essa.
  • Scegliere il luogo dove aprire l’attività e successivamente tutte gli arredi e soprattutto i macchinari e gli strumenti utili alla preparazione dei dolci.
  • Espletare tutte le norme burocratiche, fiscali e igieniche.
  • Promuoversi, dialogare e puntare e diventare un punto di riferimento.

Baker kneading dough in a bakery. Bakery Concept.

La burocrazia: il luogo dove rischia di morire il sogno

Ogni iniziativa imprenditoriale ha il suo calvario burocratico da espletare, una serie di operazioni che spesso portano a scoraggiare, almeno nel nostro paese, i potenziali pasticceri determinati ad aprire il proprio laboratorio. L’iter necessario per l’avviamento è generalmente riassumibile nei seguenti passaggi:

  • Comunicare al comune di residenza l’inizio dell’attività (utilizzando i modelli COM1 o COM2 in base alla metratura dell’esercizio commerciale).
  • Comunicare all’ASL la medesima cosa (D.I.A.-Denuncia Inizio Attività) per ottenere l’idoneità sanitaria e presentare i documenti relativi alle attrezzature che potrebbero inquinare tramite le loro emissioni (soprattutto i forni).
  • Aderire al HACCP (Hazard Analysis and Critical Control Point), una serie di procedure parte di un programma di autocontrollo degli alimenti per prevenire possibili contaminazioni (probabilmente sarà necessario partecipare a un corso di formazione inerente).
  • Iscrizione al registro delle imprese provinciali (presso la CCIAA-Camera di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura) e apertura della posizione INPS.
  • Richiesta di autorizzazioni varie presso gli uffici comunali (insegna, occupazione eventuale area esterna, ecc) e adeguamento a norme di sicurezza e antincendio in caso di dipendenti a carico.

Dai diversi passaggi necessari si nota bene che aprire una pasticceria non si discosti poi molto a livello burocratico da un qualsiasi negozio di generi alimentari. I permessi da richiedere e i requisiti di tipo igienico-sanitario conferiscono l’abilitazione alla produzione e vendita, prima di essi non è possibile avviare il laboratorio: ASL e comune faranno le loro verifiche.[/vc_column_text][vc_column_text]

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Macchinari e attrezzature: il fondamentale braccio operativo del pasticcere

La produzione per un esercizio commerciale di dolci rende indispensabile l’acquisto e utilizzo di una serie di macchinari e attrezzature professionali che siano in grado di rispondere a esigenze quantitative adeguate. Non basta, ovviamente, un forno casalingo o gli utensili che vengono usati tutti i giorni nelle cucine domestiche. Servono impastatrici, forni, frigoriferi, congelatori, abbattitori, friggitrici, utensili di vario genere, sfogliatrici e frantumatrici, piani di lavoro ampi: tutto di livello rigorosamente professionale. Senza contare le attrezzature di corollario alla produzione vera e propria, come il registratore di cassa, il pos, le vetrine per l’esposizione, la macchina per il caffè nel caso si fornisca anche il servizio bar, ma di questo ci interessa relativamente.

A prescindere da posizionamento sul territorio, abilità del pasticcere, tipologia di dolci e materie prime, i macchinari sono l’elemento su cui si fonda il laboratorio, la prima cosa di cui dotarsi per aprire una pasticceria, precede l’idea o le ricette. L’attrezzatura professionale consente infatti di velocizzare i processi preparatori e la cottura, aiuta a tenere in ordine gli ingredienti e li “adatta” alle proprie esigenze.

La prima necessità cui si deve ovviare riguarda la preparazione di impasti di vario genere (frolla, sfoglia, pan di spagna, bignè, ecc) per i quali vengono utilizzate impastatrici professionali a spirale, a forcella o planetarie da laboratorio (ideali anche per le creme), ognuna di esse in grado di offrire una resa migliore di altra in base al tipo di preparato: indispensabili per maneggiare grandi quantità in tempo ridotto. In seguito non dovrebbero mancare le macchine pensate per tagliare (gli stessi impasti ma non solo) e frantumare (come il cioccolato o la frutta secca), un robot da cucina per i composti e le ricette più specifiche e particolari.

La preparazione dei dolci viene ultimata dai forni: un modello professionale elettrico statico o ventilato rappresenta la soluzione migliore da prendere in considerazione prima di aprire una pasticceria per la sua fruibilità e la sua funzionalità sotto ogni punto di vista. Gli armadi frigorifero, i refrigeratori, gli abbattitori e i congelatori sono infine indispensabili per la conservazione delle materie prime, unitamente ai banchi refrigerati per l’esposizione (quindi non prettamente legati al laboratorio).

Da ultimo non possono mancare gli utensili del mestiere: stampi, teglie, sac a poche, siringhe, rotelle, palette, mattarelli e tutto lo scibile per i lavori di fino a mano.

Tra formazione e budget, 2 aspetti da considerare per aprire una pasticceria

Per praticare la professione del pasticcere occorre ottenere una qualifica conseguibile in molteplici modalità. Un vantaggio può essere fornito dall’aver frequentato la scuola alberghiera, ma ciò che fa davvero la differenza sono i corsi formativi specializzati offerti da scuole professionali e accademie (purtroppo molto costosi), da enti quali Ascom-Confcommercio o Cna (giusto per citarne un paio) o infine dall’apprendimento sul campo all’interno di un laboratorio, previa attivazione di stage formativo da parte della Regione. Si tratta di percorsi fondamentali perché insegnano a preparare il prodotto, ma anche a presentarlo e venderlo: un’utilità che va oltre la semplice ma inevitabile qualifica. La formazione incide, l’esperienza affina: sono tra i segreti del successo di un’attività di questo tipo.

Insieme alla crescita tecnica e nozionistica del singolo pasticcere non vanno tralasciati gli aspetti economici, nello specifico il budget: aprire una pasticceria significa avviare un’impresa, quindi implica investire dei soldi (in licenze, struttura, corsi, affitto, attrezzature ecc). Ogni aspetto, da quello burocratico all’utensileria, va seriamente programmato per non ritrovarsi a chiudere dopo pochi mesi per mancanza di fondi. O addirittura non riuscire nemmeno ad aprire perché non si è calcolata ogni singola spesa.

Qualche consiglio conclusivo per i futuri pasticceri

Buttarsi nel dolce mondo della pasticceria è un sogno che molti hanno avuto da bambini o che magari covano tutt’ora dalle scrivanie del proprio ufficio, immaginando un impegno creativo completamente libero da rigidi schemi. La verità è che, lo ribadiamo con coscienza a costo di essere ripetitivi, si tratta di una cosa seria perché significa avviare un’impresa (con tutte le necessità e conseguenze legate a essa).

Avere passione non basta, bisogna sentire la vocazione ed essere preparati a sacrificare tempo e fatica per emergere nel settore per lavorare anche di notte e nei festivi senza risentirne a livello motivazionale.

Sentire propria la strada professionale scelta è l’unico fattore che permette di non arrendersi di fronte alle numerose criticità da affrontare quando si vuole aprire una pasticceria. Il successo arriva come conseguenza della propria passione affinata dal duro lavoro, gli ingredienti decisivi per un prodotto di qualità.

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SIGEP Rimini 2016

23 — 27 Gennaio 2016 — Rimini

Sigep è la Fiera Internazionale dedicata esclusivamente a operatori professionali di tutto il mondo, nei settori della gelateria, pasticceria artigianale, panificazione abbinati al mondo del caffè.
La storia di Sigep è raccontata da un crescente successo che prende il via nel 1980 e che ogni anno si rinnova affiancando all’area espositiva un ricco programma di eventi e incontri per favorire gli incontri internazionali, la comunicazione e gli scambi tra aziende.
Italforni è stata presente, anche quest’anno, con la gamma completa dei propri prodotti, a questo evento straordinario che anticipa tendenze e innovazioni delle 4 filiere produttive.

Idee e consigli per una lavorazione del vetro professionale


La lavorazione del vetro è una pratica artigianale (e in molti casi possiamo affermare anche artistica) nata millenni fa: sebbene i manufatti più antichi provengano dalla civiltà egizia, storicamente si può far risalire la ialurgia (termine che deriva dal greco), ovvero l’arte di fabbricare e lavorare il vetro, fino al 5000 a.C. nella regione mesopotamica. Chi non è avvezzo alla tematica potrebbe citare le celebri vetrerie di Murano, ben riconosciute in tutto il mondo per la loro tradizione secolare, ma sarebbe riduttivo poiché dimenticherebbe ciò che è stato prodotto nella Roma antica, nell’impero bizantino, nel Medioevo europeo. Un’ascesa storica che ha visto migliorare sempre di più le tecniche e i processi inerenti il vetro.

Il vetro è infatti un materiale riscontrabile in natura (un esempio è l’ossidiana) che si origina dalla fusione di biossido di silicio (sabbia di quarzo in poche parole) e successivo raffreddamento. A livello tecnologico è ora molto più facile produrre e lavorare questo materiale grazie alla disponibilità di macchinari e forni capaci di fornire una qualità e una precisione davvero impressionante, operando in modo molto veloce per venire incontro alle esigenze industriali.

In quanto pratica prettamente artistica però la lavorazione del vetro sussiste ancora nella sua forma artigianale: Murano è tuttora un centro rinomato e non mancano, nel nostro paese come nel resto del mondo, laboratori dove la ialurgia rimane molto legata alle tradizioni, mantenendo al contempo un profilo fortemente professionale. In entrambe le tipologie di lavorazione non mancano le possibilità di variare modalità di formatura e finitura, seguendo ovviamente il ciclo della creazione del materiale.

Il focus sul materiale: caratteristiche del vetro

L’origine naturale del vetro ha permesso la sua scoperta, e il conseguente utilizzo, migliaia di anni fa. Come specificato sopra alla base del vetro vi è il biossido di silicio, ma non è il solo materiale presente poiché generalmente si distinguono due gruppi di elementi che, fusi assieme, possono dare risultati differenti per colore, luce, purezza e altre peculiarità: i primari e i secondari.

  • I primari comprendono calcite, potassa, dolomite e additivi come la soda.
  • I secondari includono invece agenti come diversi e numerosi ossidi, utili per ottenere molteplici risultati (opacizzare, schiarire, ecc).

La produzione e la lavorazione del vetro hanno come base fondamentale il processo di fusione (cui segue per importanza il processo di raffreddamento). Per tale ragione è decisivo gestire in maniera pressoché perfetta la temperatura, consci del fatto che in base alla tipologia di materiali utilizzati possono cambiare in maniera anche drastica i punti di fusione, con variazioni che vanno dai 500° ai 1.600° gradi e che permettono di eseguire lavorazioni di volta in volta differenti in base alle proprie esigenze e alla propria creatività.

Nel complesso, se parliamo di “prodotto finale”, possiamo suddividere in 5 le tipologie di vetro: sodio, quarzo, piombo, borosilicato e potassio.

  • Il vetro di sodio è quello più comune e conosciuto, utilizzato ad esempio per bottiglie, finestre e bicchieri.
  • Il vetro al quarzo è quello grazie al quale è possibile produrre lampade alogene o microscopi. Molto resistente alle temperature elevate, non presenta additivi.
  • Il vetro al piombo è invece deputato alla creazione di lenti e altri oggetti inerenti l’ottica.
  • Il vetro borosilicato vanta una notevole resistenza ai prodotti chimici e alle variazioni termiche, ragion per cui è ideale per essere utilizzato nei laboratori o in casa.
  • Il vetro di potassio infine è molto versatile e può essere scelto per i cristalli di Boemia, per la creazione di provette e di dispositivi ottici.

Quali passaggi avvengono durante la fusione

Quando la miscela di materiali per il vetro inizia a fondersi nel forno i diversi elementi iniziano a omogeneizzarsi e purificarsi con l’accrescere della temperatura, arrivando alla gradazione giusta per essere lavorati e manipolati, prima di consolidare la propria forma con il graduale processo di raffreddamento. Ciò non significa che il vetro diventa subito modellabile al punto di fusione, quello rappresenta unicamente il momento culmine della creazione: di norma occorre attendere un primo step in calo delle temperature per iniziare la lavorazione prescelta (soffiatura, stampaggio, filatura, laminazione, ecc), cercando di tenere nuovamente elevato il calore.

I processi fisici che avvengono nell’atto della fusione sono semplici e lineari. Dapprima si ha l’evaporazione dei liquidi e la disintegrazione degli elementi che iniziano a formare una massa schiumosa, mentre poco prima dell’apice, quando questa massa ha superato ampiamente i 1.000 gradi, la fusione si può dire quasi ultimata. Rimane infatti da attendere ancora che la temperatura si innalzi ulteriormente per eliminare gli additivi aggiunti che nel mentre si sono tramutati in gas, raffinando il prodotto finale. A quel punto si può procedere, previo raffreddamento, alla lavorazione del vetro.

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Lavorare il vetro: tecniche e possibilità di manipolazione

La massa di vetro formata e fusa, con una temperatura che oscilla generalmente fra gli 800° e i 1.100° gradi, presenta uno stato di plasticità ideale per la sua trasformazione. Tale status viene raggiunto di norma in seguito all’ultimo processo della fusione, quello in cui la massa viene affinata con la fuoriuscita dei gas (presenti in forma di bolle) formatisi per la decomposizione dei carbonati e solfati, per essere poi messa in una condizione di riposo e gradualmente raffreddata.

Il processo di formatura avviene in tal modo quando la massa risulta essere fluida e viscosa, capace dunque di essere alterata e, al contempo, di mantenere la forma modellata. Le tecniche più conosciute e utilizzate sono la soffiatura, lo stampaggio, la laminazione, la stiratura, la filatura e il tiraggio.

  • La soffiatura implica l’immissione di aria, aria compressa o getti di vapore tramite bocca o ugelli. È la tecnica forse più conosciuta e viene utilizzata per creare manufatti artistici o oggetti in vetro per i laboratori scientifici.
  • Lo stampaggio può essere realizzato in diverse modalità: per compressione, soffiatura o colata. Nel primo caso si realizza immettendo vetro fuso in uno stampo che viene poi premuto internamente per aderire tramite un pistone. Nel secondo caso al pistone si sostituisce semplicemente l’immissione di aria. Nel terzo caso si tratta semplicemente di riempire lo stampo sfruttando la gravità (quindi colando il vetro fuso).
  • La laminazione viene adottata per realizzare prodotti piani (come potrebbero essere quelli per le finestre) e si esegue grazie all’ausilio di rulli in acciaio sotto cui scorre tramite nastro la massa fusa.
  • La stiratura è similare alla laminazione, se si eccentua il fatto che i rulli sono posizionati verticalmente.
  • La filatura riguarda la produzione di fibre di vetro con notevoli capacità di resistenza.
  • Il tiraggio infine avviene tramite dei macchinari meccanici ad alta velocità che sono in grado di ottenere dei filamenti utili a rinforzare, ad esempio, lo scafo delle barche.

Una volta eseguita la lavorazione del vetro con le diverse tecniche rimane solo da rifinire il prodotto sfruttando le diverse possibilità di finitura, siano esse meccaniche (come intaglio o smerigliatura), chimiche (come l’opacizzazione) o termiche (come la fusione localizzata per incollare più parti o la tempra).

Lavorazione del vetro: una tradizione ancora attuale

Le tecniche presentate nel paragrafo precedente non sono però le uniche ideate, conosciute ed utilizzate per lavorare il materiale in questione, nella storia della ialurgia come nel tempo presente. Vale la pena dunque dare una scorciata ulteriore alle molteplici possibilità offerte dal vetro (anche se essere esaurienti in merito è quasi impossibile).

Avventurina

Una tecnica molto difficile, delicata e lenta da eseguire con successo, nata a Murano nel 17esimo secolo: il vetro presenta dei minuscoli cristalli di rame inseriti durante il processo di raffreddamento e dispersi con omogeneità. Una sua eventuale lavorazione a caldo richiede parimenti attenzione e cura al dettaglio.

Battuto

Una vera e propria levigazione della superficie vitrea a freddo per conferire un aspetto simile al ferro battuto.

Calcedonio

Tecnica che implica l’inserimento di svariati metalli di colori differenti per far apparire il vetro simile a una pietra.

Canna

Si ottiene accostando e sovrapponendo dei filamenti di vetro di diverso colore, successivamente fusi e soffiati.

Filigrana

Tecnica molto antica e particolare. Si espleta ponendo dei filamenti di vetro con anima colorata su una piastra: dapprima si fanno fondere e poi si fa aderire l’oggetto cui devono attaccarsi (più spesso di forma cilindrica). Il reticello è una variante della filigrana che si caratterizza per l’intreccio doppio.

Foglia d’oro

In sintesi si tratta di “incamiciare” una sottilissima membrana di oro, la cosiddetta foglia d’oro, all’interno di uno strato di vetro.

Incalmo

Altra tecnica di origine veneziana, consiste nell’unione di due o più masse di colore differente e nel loro modellamento a caldo.

Murrina

Altra tecnica molto conosciuta, consiste nell’allestire e disporre numerose canne o filamenti di vetro diversamente colorati formando un disegno. Vengono poi fusi e tagliati per essere infine attaccati a un oggetto.

Opalina

Si tratta di una “semplice” opacizzazione del vetro tramite ceneri cui fa seguito la colorazione con ossidi metallici.

Sommerso

Uno strato di vetro viene sovrapposto a un’altro di diverso colore. Viene chiamato “incamiciato” quando gli strati sono particolarmente sottili.

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Cuocere la ceramica: le migliori tecniche e tipologie per una cottura ottimale


L’arte della ceramica e la sua scoperta hanno un’origine antichissima, risalente persino al periodo preistorico (il neolitico a essere più precisi). Infatti i manufatti più vecchi mai scoperti dall’uomo (ritrovati nello specifico in Cina) sono stati datati intorno al 15.000 a.C. e anche oltre, evidenziando come la lavorazione dei composti di argilla abbia caratterizzato la vita dell’uomo molto presto.

L’etimologia del nome ceramica deriva dal greco antico κέραμος, traducibile come argilla o creta, ma più in generale si riferisce a un composto di materiali inorganici presenti in natura e privi di parti metalliche, capaci di consolidarsi per effetto del calore. L’argilla in sé è facilmente malleabile grazie alla presenza di acqua che la contraddistingue e che ne sottolinea la plasticità. Una volta asciutta in seguito a processo di essiccazione diventa rigida ma fragile e solo un processo di cottura è capace di conferire robustezza: il risultato finale è ciò che definiamo ceramica.

Nella tradizione l’argilla veniva prelevata dai letti di fiumi o dalle cave, battuta e depurata per poi essere lavorata manualmente, tramite tornio (la ruota del vasaio) o tramite stampo (soprattutto se l’argilla è molto liquida), ora l’impasto può essere creato anche artificialmente per ottenere miscele particolari in grado di originare la porcellana.

I passaggi successivi alla lavorazione e modellazione della terra argillosa sono l’essiccazione e la cottura, che concludono il processo di creazione. Cuocere la ceramica in particolare è il passaggio più delicato e fondamentale perché conferisce una forma stabile e resistente al manufatto a patto di aver seguito alla perfezione le diverse fasi, con picchi di temperatura che vanno dai 900° ai 1400° gradi, per le quali poter usufruire di un forno di ultima generazione potrebbe fare la differenza.

ABC della ceramica: tipologie, composizione e prodotti

Va specificato anzitutto che sono molteplici le tipologie di ceramiche (e ancor di più i prodotti finali), ma nel complesso sono suddivisibili in due gruppi: le ceramiche a pasta compatta e quella a pasta porosa. 

  • La tipologia a pasta compatta comprende porcellane e gres, è caratterizzata da bassa porosità, notevole inscalfibilità e da una buona impermeabilità.
  • La tipologia a pasta porosa, ovvero terracotta, terraglia e maiolica, sono ovviamente porose e meno resistenti, tendendo quindi ad assorbire i liquidi.

Come già detto, l’argilla ha origine in natura: si forma dall’azione erosiva e dal successivo trasporto di sedimenti sciolti che arrivano solitamente a concentrarsi principalmente in acqua (fiumi, laghi, ecc). La colorazione con cui può essere trovata varia fra verde, rosso, ocra, bruno, bianco e grigio, dipende dalla differente percentuale fra gli elementi che la compongono: feldspati di vario genere, sabbia, ferro, allumina (ossido di alluminio) e quarzo, un insieme davvero articolato di sostanze. In ogni caso tale caratteristica non influisce sul colore finale del prodotto lavorato una volta che si arriva al momento di cuocere la ceramica.

In questo composto è la struttura dei fillosilicati, unita all’acqua, a rendere il materiale plastico e facilmente lavorabile per la realizzazione di numerosi prodotti utili per molteplici ambiti:

  • Tegole, piastrelle e laterizi per l’industria edilizia.
  • Sanitari per i bagni.
  • Componenti per motori e turbine nei settori meccanico e aeronautico.
  • Padelle con rivestimento in ceramica (antiaderenti e senza il rischio di rilascio di materiali nocivi come avviene col Teflon).
  • Vasi e prodotti artigianali di vario genere e fattura.

Prima di cuocere la ceramica: selezione e preparazione dell’argilla, lavorazione ed essiccazione

L’argilla che possiamo trovare in natura per produrre la ceramica non è ovviamente già pronta per essere modellata ma necessita di una serie di passaggi a prescindere dal composto. In genere vengono utilizzati tre tipi di argilla:

  • Il caolino, refrattante e caratterizzato da bassi livelli di plasticità (ideale per la porcellana).
  • Argilla sabbiosa, caratterizzata da un elevato grado di plasticità.
  • Argilla refrattaria, molto resistente al fuoco.

A prescindere dal tipo di argilla, quest’ultima deve essere ripulita dalle impurità tramite stagionatura e successiva lavatura in acqua, utile a disperdere i sali solubili. In seguito si interviene con un secondo passaggio di pulizia per eliminare le ultime impurità e i grani più grossi. Solo dopo aver “depurato” il materiale è possibile incominciare a impastarlo per renderlo più compatto e per rilasciare le eventuali bolle d’aria, un passaggio molto importante per evitare la formazione di crepe e altre imperfezioni. In alcuni casi viene infine aggiunta anche una polvere derivante da macinazione di ceramica, perfetta per rendere il prodotto più resistente agli sbalzi di temperatura nel forno.

Con l’impasto bello pronto non rimane che modellarlo secondo la propria creatività o la propria necessità. Prima dell’avvento del tornio e di altre tecniche i manufatti erano realizzati unicamente a mano libera, ma le possibilità aperte dalle diverse lavorazioni hanno permesso di creare oggetti sempre più belli e sofisticati.

  • Modellazione a colombino: prevede dapprima la formazione dei cosiddetti colombini (lunghi cilindri di argilla stesi con le mani) i quali vengono poi arrotolati uno sopra l’altro per formare vasi o ciotole.
  • Modellazione a lastre: dal blocco di argilla si tagliano delle lastre che vengono stese col mattarello e successivamente tagliate a stampo o unite fra loro.
  • Modellazione al tornio: lavorazione ideale per il vasellame, consiste nell’usufruire di un piatto con supporto girevole attivabile tramite pedale. Ponendo il panetto di argilla al centro dell’asse di rotazione è possibile modellare con precisione utilizzando le mani mentre il tornio gira. Apprezzato soprattutto dal pubblico femminile poiché ricorda la celebre scena del film Ghost.
  • Modellazione a stampo: il primo passaggio di questa lavorazione consiste nell’allestimento di uno stampo in gesso entro cui colare l’argilla liquida in attesa della sua essiccazione, rifinitura e quindi della cottura.

Il tipo di modellazione effettuata non può prescindere dal passaggio dell’essiccatura prima di procedere con il forno. Garantire un processo omogeneo e uniforme, in cui l’umidità residua viene completamente dispersa, significa conferire maggior durevolezza all’oggetto in lavorazione, oltre al fatto che viene fissata la forma definitiva dello stesso.[/vc_column_text][vc_column_text]

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Cuocere la ceramica: conoscere i cicli per un risultato ottimale

Come già ribadito più volte, la cottura della ceramica è il processo conclusivo che definisce il prodotto finale in ogni sua caratteristica. Se nei tempi antichi era necessario costruire delle fornaci appositamente pensate per questo materiale, ora sul mercato è possibile trovare forni di ultima generazione a gas o elettrici che consentono un controllo superiore in ogni momento della cottura.

La progettazione e il controllo del ciclo di cottura (che dura molte ore) sono infatti fondamentali per evitare eventuali danni causati da sovracottura o sottocottura: nel primo caso si ha una vetrificazione eccessiva con conseguente formazione di bolle e deformazione dell’oggetto, nel secondo caso non avviene la fase vetrosa e ne risulta un oggetto troppo fragile. Le temperature in genere vanno ben oltre i 1000° gradi e il picco massimo varia in base al tipo di argilla, così come si diversificano le curve di crescita e decrescita, che devono essere sempre graduali e pre-impostate in maniera precisa. Ecco una breve lista di punti cottura ideali per diversi tipi di argilla:

  • Terracotta — tra i 960° e i 1030° gradi.
  • Terraglia — tenera tra i 960° e i 1070° gradi, dura tra i 1050° e i 1150° gradi.
  • Gres – tra i 1200° e i 1300° gradi (si tratta di un materiale dalla forte vetrificazione e impermeabilità).
  • Porcellana – tenera tra i 1200° e i 1300° gradi, dura tra i 1200° e i 1300° gradi (la seconda prevalentemente per uso industriale).
  • Ceramica High-Tech – tra i 1400 e i 1700° gradi grazie all’aggiunta di caolino e allumina.

Cuocere la ceramica vuol dire attuare un processo irreversibile ma necessario per ottenere la durezza e resistenza che un oggetto in argilla solo essiccata non potrebbe mai avere. Le fasi del processo avviano infatti un profondo cambiamento della struttura molecolare e costitutiva dell’argilla, sintetizzabile nei momenti della disidratazione e vetrificazione.

  • Fra la temperatura ambiente e i 200° evaporano le molecole di acqua residua dell’impasto.
  • Fra 250° e 350° avviene la combustione dei materiali organici.
  • Fra 450°C e 850°C avviene la decomposizione dei minerali.
  • A 800° avviene la decomposizione dei carbonati e l’ossidazione dei solfuri.
  • Sopra i 1000°, in base al tipo di argilla, si fondono i feldspati e avviene la vetrificazione.

La conoscenza di queste dinamiche fisiche e chimiche è imprescindibile per chi è in procinto di lavorare la ceramica: significa avere ben chiaro in mente quale risultato finale si vuole ottenere, che sia terracotta o porcellana. E di conseguenza significa anche sapere come muoversi nella lavorazione prima della cottura, agendo nella maniera più ottimale possibile all’obiettivo.

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Impastatrice per pane professionale: 5 impasti per sorprendere i tuoi clienti

Il pane è da sempre un elemento di vitale importanza nella dieta dell’uomo. In passato era composto da un semplice miscuglio tra farina e acqua, con l’avvento della modernità l’impasto è stato arricchito da elementi importati come lievito e sale.

A subire un cambiamento, nel corso del tempo, è stato anche il modo di lavorare: ora ad affiancare il panettiere vi è la sua fedele impastatrice

Diventata di comune utilizzo, scopriamo ora come utilizzarla preparando 5 impasti per sorprendere i tuoi clienti.

Scegliere gli ingredienti giusti 

Viene naturale chiedersi perché avvicinarsi a nuovi tipi di ricette e la spiegazione la si può trovare direttamente nelle opinioni dei consumatori che richiedono preparati sempre più particolari.

A fare la differenza, oltre all’utilizzo di un’ottima impastatrice per pane, sono soprattutto gli ingredienti. Un panettiere attento nello scegliere la composizione del proprio impasto preferito considererà la qualità di tutti gli elementi. Per poter sperimentare è necessario avere ben chiara la funzione dei componenti base:

  • Acqua

L’acqua, oltre ad avere la giusta quantità di minerali ed essere quindi leggera, funge da collante fra la farina e il lievito, aiutando a sciogliere il sale e a migliorare la sua distribuzione. Per essere utilizzata correttamente contano la temperatura e la quantità inserita.

  • Sale

Il sale contribuisce a dare sapore al pane e può presentarsi sotto forma di grana grossa o di grana fine. Nel primo caso va lavorato con più accuratezza, in modo che non lasci residui, ma contribuisce a dare la giusta colorazione, ossia mollica bianca dentro e crosta dorata fuori. Il secondo tipo è più indicato perché si scioglie facilmente in acqua, senza lasciare residui. In entrambi i casi va aggiunto all’inizio della lavorazione in quanto facilita la stessa.

  • Lievito

Il lievito agisce aumentando il volume dell’impasto, si tratta di una cellula vivente. Il tipo che viene principalmente utilizzato è quello di carbonica.

  • Farina

Disponibile in diverse tipologie e da essa dipendono le caratteristiche principali del pane, oltre al suo gusto finale. Inizialmente venivano utilizzate farine più pure, ma negli ultimi anni si preferiscono farine meno raffinate o integrali proprio per i loro apporti benefici nel rallentare il processo di aumento della glicemia.

5 impasti sorprendentemente gustosi da proporre ai tuoi clienti

Gli ingredienti del pane sono semplici, ma non altrettanto elementare è lavorarne la composizione in modo da formare il prodotto nel miglior modo possibile. Nonostante la ricetta sia da sempre diffusa, diverse sono le varianti che hanno preso piede nel corso degli anni, così da rendere questa ricetta sempre attuale e la protagonista a tavola. 

Come rimanere quindi al passo con i tempi senza dimenticare la tradizione? Basta aggiungere nuovi ingredienti e riprendere vecchie ricette.

Esploriamo quindi diverse proposte di impasti sfiziosi da preparare con l’impastatrice per pane professionale per sorprendere i tuoi clienti:

  1. Impasto per pane integrale alle noci;
  2. Impasto per pane nero di Castelvetrano;
  3. Impasto pane di castagne;
  4. Impasto pane di solina;
  5. Impasto per pane alla curcuma.

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1. Impasto per pane integrale alle noci

Partiamo con qualcosa di semplice, ma sfizioso: si tratta di una ricetta gustosa dal sapore semplice e dalla consistenza rustica. 

La farina integrale conferisce un gusto deciso ed un corretto apporto di fibre ad ogni composto, mentre le noci rendono la consistenza a tratti croccante.

Le noci sono ricche di sali minerali, come potassio e calcio, oltre ad essere un’ottima fonte di proteine vegetali. Contengono inoltre melatonina naturale che aiuta a regolare i cicli del sonno

Questa ricetta può essere utilizzata sia per realizzare pane che panini, data la consistenza soffice e il suo gusto ricco. Per aggiungere ancora più sapore e per rendere maggiormente croccante la superficie, possono essere amalgamate anche diverse tipologie di semi

Il lievito utilizzato in questo caso è quello di birra, mentre la farina è completamente integrale proprio per mantenere la purezza del composto. Per permettere all’impasto di raddoppiare il suo volume, sarà sufficiente farlo riposare per 3 o 4 ore.

Utilizzando il latte vegetale per spennellare i panetti, prima di essere infornati, il pane può rappresentare anche una notevole proposta vegana. Può essere apprezzata da questo tipo di pubblico anche per il ruolo fondamentale che rivestono le noci nella dieta vegana, impiegate come sostituto per diverse tipologie di proteine.

2. Impasto per pane nero di Castelvetrano

Partendo dagli ingredienti primari (acqua, sale e lievito naturale) si aggiunge la miscela di due tipi di farine, quella al grano duro siciliano e un tipo antico di frumento locale. In entrambi i casi si tratta di farine macinate a pietra e integrali. 

Quest’ultima viene chiamata Timilia, ricavata da un tipo di cereale particolare, una tipologia di frumento con cariosside scura, il quale è in grado di resistere molto bene alla siccità. Inoltre è noto per le sue proprietà benefiche che agiscono a livello del sistema cardiovascolare, oltre ad essere ricco di ferro. 

La produzione viene realizzata esclusivamente tramite macine a pietra e alla fine della macinatura si presenta con colore grigiastro. Il pane nero è originario di un piccolo paese in provincia di Trapani e dall’utilizzo di questa particolare farina che prende il suo nome, dato che contribuisce a conferirgli il tipico colore scuro alla crosta e alla mollica. 

Utilizzando il lievito naturale inoltre, dura a lungo e mantiene intatto il suo profumo inconfondibile e la sua morbidezza. La forma che bisogna realizzare è rotonda ed è fondamentale l’aggiunta dei semi di sesamo sulla crosta. Grazie al malto e alla farina di mandorla tostata, la composizione di questo pane viene notevolmente risaltata.

3. Impasto pane di castagne 

Un pane tradizionale considerato un simbolo della cultura contadina. Un impasto antico, elemento di spicco della cucina di montagna.

La variante più famosa e tradizionale è la Marocca, che viene prodotta in un unico forno a Regnano Casola. Alla base di questo preparato vi sono ingredienti come:

  • Farina di castagne;
  • Farina di grano;
  • Patate;
  • Acqua;
  • Lievito di birra;
  • Lievito madre;
  • Sale.

La farina di castagne deriva dai semi del castagno secchi ed è ricca di sali minerali come ferro, calcio, potassio, sodio e fosforo. Notevolmente, è consigliata a chi pratica sport o a chi è sottoposto a stress fisico, per via della ricchezza di fibre aiuta l’apparato intestinale, oltre ad avere un notevole impatto nella riduzione del colesterolo.

Il pane che ne deriva si presenta come scuro, compatto e dalla consistenza spugnosa. Il profumo di questo prodotto è inconfondibile e solletica il gusto dei clienti.

L’aggiunta delle patate ne facilita la lavorazione, ma per avere un risultato omogeneo e ben lavorato è necessario che venga utilizzata la giusta impastatrice per pane professionale, poiché la farina di castagne rallenta la lavorazione rendendo l’impasto molto compatto e poco malleabile.

Solitamente il rapporto corretto prevede che l’impasto sia composto da:

  • 60% di farina di castagne;
  • 40% di farina di grano tenero;
  • Acqua per il 60%;
  • 10% di patate lesse. 

Nella ricetta tradizionale le varianti si basano sull’aggiunta di acqua con latte o olio oppure, in rari casi, di entrambi. Prima di inserire il panetto nel forno, per agevolare la sua doratura si consiglia di spolverarlo con farina di mais.

Partendo dalla base tradizionale è possibile ottenere diverse tipologie di composto che possono variare di leggerezza e nel grado di preponderanza del gusto.

4. Impasto pane di solina

Così come si percepisce dal nome del prodotto in questione, il pane in solina viene realizzato con la farina di grano di solina, anche in questo caso si tratta di un pane antico e quindi la farina viene realizzata attraverso la macinazione a pietra

Questo tipo di grano è una varietà di frumento molto antica e i primi dati documentati circa la sua coltivazione risalgono all’inizio del XVI secolo in Abruzzo.

La sua produzione avviene particolarmente in zone fredde, le cui quote elevate permettono di donare le giuste condizioni volte ad esaltare la qualità della materia. L’altitudine riveste il ruolo di protagonista nella maturazione del grano il quale più viene coltivato ad altezze elevate più sarà di qualità maggiore.

Viste le attuali tendenze culinarie questo tipo di farina va valorizzato, in quanto presenta un basso contenuto di glutine ed è anche adatto alle diete proteiche per via dell’alta percentuale di proteine presenti nella sua composizione.

Attraverso l’uso dell’impastatrice per pane sarà possibile esaltare la consistenza morbida della farina e realizzare prodotti dal gusto casareccio. Avvalersi esclusivamente di questo tipo di farina per realizzare il pane permette di ottenere un prodotto autentico e dal sapore puro. 

La semplicità della ricetta si vede anche dagli ingredienti:

  • Farina di grano di solina;
  • Lievito;
  • Acqua;
  • Sale;
  • Miele.

Unica nota dolente, sono le 15 ore necessarie per il riposo e la lievitazione, ma proprio per questo potrebbe diventare l’aspetto caratteristica di una panetteria.

5. Impasto per pane alla curcuma

Il colore unico che permette di ottenere l’uso di questa spezia, salta immediatamente agli occhi dei clienti e li cattura per scoprirne la novità. Il sapore che emerge è un misto tra una delicata composizione di amaro e piccante.

La curcuma è una radice di origine indiana ed è conosciuta per le sue proprietà depurative e antitumorali, oltre ad essere considerata un antinfiammatorio naturale. 

L’aggiunta dei semi di papavero contribuisce ad apportare anche il giusto apporto di minerali vitamine, calcio e rame. Il mix degli ingredienti utilizzati per realizzare questo panetto permettono di conservarlo morbido e fragrante a lungo. 

In particolare, in questo caso, si preferisce utilizzare il lievito di birra, ma qualsiasi altro tipo aiuta la realizzazione del prodotto. L’impasto rimane liscio e corposo, una volta lavorato, ma è il colore giallo acceso della mollica che conquista lo sguardo dei clienti. 

Quindi gli ingredienti utilizzati sono:

  • Due tipi di farina molto lavorata;
  • Olio d’oliva;
  • Lievito di birra;
  • Curcuma;
  • Acqua;
  • Sale;
  • Semi di papavero.

L’impastatrice per pane professionale: lo strumento che risponde alle tue esigenze

L’utilizzo di questo macchinario a livello professionale permette di conferire all’impasto la giusta morbidezza e contribuisce ad aumentare la porosità del prodotto finale. Il movimento su cui si basa l’impastatrice per pane professionale è una spirale di acciaio che ruota intorno al suo asse verticale. Anche la vasca si muove in direzione opposta rispetto a quella della spirale in modo da aumentare la sua efficacia.

Le macchine destinate a questa lavorazione semplificano e diminuiscono il tempo necessario per la lavorazione, oltre ad aumentare la qualità degli impasti permettendo di diversificare l’offerta proposta. Attualmente il contributo fornito dall’impastatrice permette ai panettieri di essere competitivi sul mercato e di fornire un prodotto di grande qualità.

Un esempio di scelta accurata per ottenere lo stesso rendimento con piccole o grandi quantità di impasto è un’impastatrice che sia affidabile, durevole e composta con materiali di alta qualità, pensata per rendere facile anche la sua pulizia.

Per questo Italforni propone la sua Impastatrice GM, disponibile in diverse dimensioni, ciascuna perfettamente adattabile ad occasioni d’uso differenti.

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